giovedì 26 giugno 2008

Un favola per Anna

La paura di Sua Maestà Leone


leoneSua Maestà Leone regnava nella Grande Foresta da tantissimi anni: era un sovrano amato e rispettato per la sua forze il suo coraggio, ma soprattutto per la sua giustizia e onestà, con le quali proteggeva tutti i suoi sudditi, dai più potenti ai più piccoli e deboli.


Sua Maestà Leone passava le sue giornate a cacciare con le leonesse del branco e a dormire sotto i grandi alberi frondosi, ma trovava sempre il tempo per ascoltare i problemi degli altri animali e per aiutarli nelle difficoltà.

Quando la stagione delle piogge volse al termine e la foresta cominciò a fiorire e gli animali a riprodursi, Sua Maestà Leone si rese conto che gli anni cominciavano a farsi sentire: i suoi muscoli erano meno guizzanti di un tempo, le sue zanne meno affilate, il suo ruggito meno potente.

I suoi sudditi non sembravano accorgersi di niente, ma lui coglieva tutti questi piccoli segnali, e iniziò ad aver paura di non riuscire a svolgere il suo ruolo di sovrano con la stessa autorità di un tempo. 
A questa preoccupazione si aggiunse poi la sempre più forte paura di essere spodestato da un altro leone più giovane e forte, che l’avrebbe esiliato dal branco e condannato a vagare, solo e vecchio, senza un branco né una tana.
Tutti questi brutti pensieri iniziarono a girargli in testa sempre più spesso, facendolo diventare sempre più cupo, irritabile e sospettoso, insomma tutto il contrario di quello che era stato fino a quel momento: tormentato dalla paura di essere tradito, Sua Maestà Leone smise di parlare con quelli che erano stati i suoi migliori amici – il giaguaro maculato, l’orso bruno, il signor elefante – e pian piano finì per rifiutare ogni contatto con tutti gli altri animali, in modo da non dar loro modo di accorgersi che stava invecchiando e che poteva essere battuto e sostituito.

Anche la convivenza all’interno del branco si fece sempre più difficile: Sua Maestà Leone era sempre più burbero e scontroso con le leonesse, ed alla fine iniziò a guardare con diffidenza anche i suoi cuccioli, e in particolare il cucciolo maschio. Quando questo gli si avvicinava per giocare, lo respingeva bruscamente, finché un giorno gli ordinò di andarsene dalla foresta e di trovarsi un altro branco, terrorizzato all’idea di poter essere battuto e spodestato da lui. Il cucciolo obbedì tristemente e la notte successiva scomparve dalla Grande Foresta.

Dopo questo fatto le leonesse del branco e tutti gli animali della foresta cominciarono a pensare che Sua Maestà Leone era impazzito, o posseduto da uno spirito, e iniziarono a non fidarsi più di lui, anzi, ad averne paura; quando lo incontravano si nascondevano o scappavano a gambe levate, e da parte sua il Leone faceva di tutto per non incontrare nessuno.
Finì per ritirarsi a vivere in solitudine in una grotta sulla cima della Rupe nel mezzo della Foresta: ogni mattina saliva sullo spunzone di roccia più alto e lanciava un terribile ruggito per ricordare a tutti che il Re era ancora lui, poi passava la giornata a cacciare da solo, senza parlare con nessuno.

Un giorno, al tramonto, mentre inseguiva una gazzella sperduta inciampò in una radice e cadde rovinosamente, ferendosi una zampa; tornò zoppicante e digiuno alla sua grotta e si sedette all’ingresso, domandandosi come avrebbe fatto adesso a procurarsi il cibo.

Mentre era perso in questi pensieri, udì una voce vicinissima: “Come state, Vostra Maestà? Vedo che la Vostra zampa è ferita…se me lo permettete, vorrei aiutarvi”.
Sua Maestà Leone balzò in piedi nonostante il dolore e si guardò intorno ruggendo minaccioso: “Chi sei? Dove ti nascondi vigliacco? vieni fuori!!!!”, ma la voce, gentile e timida, rispose ancora “Maestà, ho troppo rispetto di Voi, e anche timore, per uscire fuori. Permettetemi di rimanere nascosto qui”. Sua Maestà Leone si volse dalla parte da cui proveniva la voce e notò un luccichio di occhi in un fitto cespuglio: ecco, doveva essere un piccolo animale pauroso, forse un castoro, o una scimmietta. Non sembrava pericoloso, ma il Leone ancora non si fidava.
“Beh, che vuoi? Perché sei venuto?” brontolò.
“Maestà, poco lontano da qui ho scoperto una piccola fonte di acqua freschissima. vi dirò come arrivarci, in modo che potrete immergervi la zampa e stare meglio”.

Così fece, e quando Sua Maestà Leone tornò alla sua grotta, non trovò più il misterioso animale che gli aveva dato un così buon consiglio.

Il giorno successivo passò lento e solitario, come sempre: Sua Maestà Leone si fece vedere un po’ in giro con l’andatura minacciosa, tanto per mettere ancora una volta in chiaro che era il re, quindi si ritirò all’ombra nella sua grotta. Quando però arrivò il crepuscolo uscì fuori e si accomodò all’imboccatura della caverna, curioso di vedere se il misterioso personaggio del giorno precedente si sarebbe rifatto vivo.

Ed ecco, dopo pochi minuti dal calare del sole, un luccichio nel cespuglio e la sua voce gentile e sommessa: “Buona sera Maestà, come vi sentite oggi?”. Sua Maestà Leone all’inizio rispose bruscamente, ancora non del tutto convinto che dare confidenza a quello strano tizio fosse una buona idea, ma la voglia di scambiare quattro chiacchiere con qualcuno era troppo forte, e i due finirono per conversare un bel po’; l’animale misterioso raccontò che veniva da lontano, da un posto dove non c’erano alberi così grandi e belli e non c’erano grandi fiumi, ma solo praterie e colline rocciose. Sua Maestà Leone gli parlò della Grande Foresta, che lui conosceva così bene.
Si salutarono a notte fonda.

Il giorno seguente successe qualcosa che preoccupò moltissimo Sua Maestà Leone: per la prima volta in tutta la sua vita l’antilope che aveva raggiunto in caccia gli sfuggì da sotto le zanne e non riuscì a riacchiapparla. Tornò alla grotta digiuno e di malumore, e rispose a monosillabi alle gentili domande del suo nuovo amico.

La stessa cosa capitò il giorno dopo: la sua preda, un giovane gnu che aveva perso il branco, apparentemente molto facile da catturare, correva troppo veloce per le zampe stanche del re che, indebolito dal digiuno del giorno avanti, non riuscì a raggiungerlo.
Tornato mestamente alla sua grotta, si avvide che proprio all’imboccatura stava un giovane bufalo bello grasso ucciso da poco, e mentre si guardava in giro alla ricerca del cacciatore che ce l’aveva portato, udì la ben nota voce del suo misterioso amico: “Maestà, ho trovato questo bufalo presso il fiume…il ghepardo che l’ha ucciso stava combattendo con un altro maschio per difendere la sua femmina e ho pensato che avreste gradito il regalo..”

Sua Maestà Leone aveva la bava alla bocca dalla fame, ma non voleva ammettere che quello era il primo pasto da due giorni: “Beh, in realtà ho già mangiato oggi, ma sei stato molto gentile…non voglio offenderti, quindi mangerò”, e divorò con grande gusto la preda prelibata.
Quella sera, messo di buonumore dal buon pasto e dalla piacevole compagnia, Sua Maestà Leone parlò a lungo della sua vita avventurosa, raccontando al suo compagno le tante vicissitudini del suo regno, come quando aveva salvato la Foresta da un intero branco di bufali impazziti, o quando aveva combattuto con il Terribile Coccodrillo dai mille denti che abitava il fiume, o ancora quando aveva conquistato la più bella leonessa di tutta la foresta.
Il suo amico lo ascoltava in silenzio e con attenzione, e ogni tanto faceva qualche domanda o osservazione: il vecchio Re scoprì che era bello parlare con lui e per la prima volta, quella notte, andò a dormire sereno.

I giorni passavano in questo modo, e nonostante Sua Maestà Leone fosse sinceramente affezionato al suo nuovo amico, aumentava sempre di più la curiosità di vederlo in carne ed ossa, ma ogni volta che provava ad affrontare l’argomento, il misterioso animale cambiava discorso oppure lo salutava con una scusa. Il Re pensava che si vergognasse del suo aspetto, perché magari era sfigurato o deforme, oppure che avesse paura di lui perché piccolo e debole, tuttavia una sera non seppe resistere alla curiosità e quando arrivò il momento di salutarsi fece finta di ritirarsi nella grotta, ma ne uscì subito dopo per seguire il misterioso animale dietro il cespuglio nel quale si nascondeva.

Cercando di fare meno rumore possibile si inoltrò nella macchia seguendo i passi del suo amico e dopo pochi metri ne scorse l’ombra davanti a lui: sembrava un animale di grandi dimensioni. Quando la luce della luna lo investì, illuminandolo bene, Sua Maestà Leone rimase senza parole: era un leone!!! Robusto, forte, giovane, con muscoli possenti e una folta criniera.
Il vecchio re non ci capiva più niente: chi era costui? Lui di certo non lo conosceva. Ma soprattutto, che intenzioni aveva? Di sicuro voleva rubargli il trono, ma allora perché non lo aveva attaccato e sconfitto quando la sua zampa era ferita, oppure quando era debole per il digiuno? Giovane e forte com’era non avrebbe avuto problemi a batterlo. Invece aveva continuato per settimane a parlare gentilmente con lui, ad aiutarlo e sostenerlo…era tutto un trucco? Un inganno?

Confuso e arrabbiato, Sua Maestà Leone spiccò un balzo in avanti e ruggì più forte che poteva, sperando di risultare minaccioso: il giovane leone si voltò di scatto ma non diede segno di volerlo attaccare, anzi aveva un’espressione dispiaciuta.

“Cos’è questa storia dell’animale misterioso???” ruggì il Re “Volevi ingannarmi per potermi attaccare a tuo piacimento? Adesso ho scoperto le tue menzogne, finalmente potremo risolvere tutto faccia a faccia”
“Maestà, mi dispiace di avervi ingannato, ma era l’unico modo che avevo per avvicinarmi a voi…e vi assicuro che non era mia intenzione rubarvi il trono o togliervi di mezzo, ma solo aiutarvi nella difficoltà”

Sua Maestà Leone rise amaramente “Oh si, certo, e io sono un colibrì. Dì la verità, hai voluto diventare mio amico per studiare i miei punti deboli e sconfiggermi facilmente….ebbene, il momento è arrivato. Battiamoci e vediamo chi è il più forte”. Il vecchio Re sapeva perfettamente che l’altro era più forte e resistente e che avrebbe quasi sicuramente vinto lo scontro, ma era troppo arrabbiato e deluso, e troppo stanco di passare le giornate solo a difendere il suo trono….meglio farla finita una volta per tutte.

Ma successe qualcosa che non aveva previsto: il giovane leone abbassò la testa umilmente e disse “Maestà, non ho nessuna intenzione di battermi contro di voi…sapete bene che forse potrei facilmente uccidervi, ma non è questo che voglio. Anzi, per dimostrarvi la mia lealtà, me ne andrò dalla Grande Foresta stanotte stessa, e non mi vedrete più”, e si incamminò verso il limitare del bosco.
Sua Maestà Leone lo seguì con lo sguardo, sbalordito…se ne stava andando veramente!

“Fermo!” ruggì, ma il tono della sua voce si era ammorbidito “Si può sapere allora quali erano le tue intenzioni?”
“Forse non ci crederete, ma volevo solo assicurarmi che steste bene, e in salute”
“Ma perché? Non mi conosci, vieni da un altro paese…”
“Vero, ma quello che non vi ho detto è che in verità io sono nato qui. Sono stato cacciato dalla Foresta quando ero ancora un cucciolo..”
“Cacciato? E da chi?”
“Da voi stesso, Maestà. Sono il vostro cucciolo maschio che avete allontanato per paura che vi rubasse il trono”.

Sua Maestà Leone era interdetto e travolto dal senso di colpa, ma allo stesso tempo provava anche una grande gioia nel rivedere il suo cucciolo, che era cresciuto e diventato così bello e forte e leale. All’improvviso si rese conto che forse l’idea di non essere più il re della foresta non era così tremenda, ma che quello che l’aveva sempre spaventato era la prospettiva di rimanere solo, vecchio e abbandonato. Suo figlio invece gli aveva dimostrato affetto e attenzione, ed era questa la cosa importante.

“Senti un po’” disse con voce un po’ burbera “questa foresta ha bisogno di un nuovo re, che sia forte, coraggioso e di buon cuore…e io sono troppo stanco e vecchio per prendermi cura di tutti. Vorresti farlo tu?”
“Io, Maestà? Ma non sono capace!”
“Ti aiuterò” rispose il vecchio re “ti starò vicino e ti consiglierò quando ne avrai bisogno”.

I due parlarono tutta la notte, e il mattino successivo il Vecchio Re condusse suo figlio al fiume, dove tutti gli animali si radunavano per bere, e lo presentò come nuovo re.
Tutti approvarono la sua scelta e fecero una gran festa.

Il vecchio leone si riconciliò con i suoi amici e con le leonesse e passò la sua vecchiaia in serenità con suo figlio e il resto del branco.

mercoledì 25 giugno 2008

zac! zac!

Ho tagliato i capelli alla Princi, in un attacco di follia.
Però pensavo peggio....è...insomma, la sua testolina sembra ancora più tonda e fa un po' effetto rapa, ma fa morir da ridere solo a guardarla.


In compenso oggi pomeriggio con questi settecentomila gradi la porto a farsi le vaccinazioni, povera cucciolotta.

lunedì 23 giugno 2008

SPLASH!

La Princi abita in una casa piccola piccola, è vero, ma che ha la grande fortuna di trovarsi in un posto bellissimo, in mezzo alla campagna, circondata dalla natura e dai suoi colori stupendi.


Fortuna nella fortuna, c'è anche una bellissima piscina condominiale, nella quale babbo e mamma hanno passato quattro estati meravigliose, fatte di bagni al tramonto (cosa c'è di più bello di tornare dal lavoro stanchi e sudati, magari a metà luglio, e farsi un tuffo prima di cena? lo dico io, niente!!!) e di rilassanti week end con gli amici.


Questo fine settimana era caldo e c'era tanto sole e la Princi ha insistito per provare il suo costume nuovo e farsi un tuffo fra le forti braccia del papà.
E' stata molto tranquilla e brava, ma che stanchezza lo sport...


BLOG

giovedì 19 giugno 2008

Le cose che Anna ama

Siamo grandi, ormai, fra poco Anna compie 4 mesi, ed è meraviglioso accorgersi che ci capiamo!
Forse non alla perfezione, e non sempre, però imparo ogni giorno qualcosina su di lei e sui suoi gusti.


Anna ama la tranquillità e il silenzio: passiamo certe mattine dolcissime, sedute sul divano semplicemente a giocare con un pupazzetto, o con le mani (le sue, le mie, è lo stesso), immerse nel silenzio, solo sussurrandoci qualcosa. E ogni tanto lei si addormenta paciosa, e si sveglia sorridendo.


Anna ama sentirmi cantare: sarà che io canticchio tutto il giorno, e lo facevo anche quando lei era dentro la pancia...ci sono un paio di canzoncine in particolare che conservo per i momenti difficili, o semplicemente quando ho voglia di vederle fare una bella risatona sdentata: basta accennarle e si illumina!


Anna ama guardare le persone negli occhi. Chiunque, anche la signora sconosciuta che le fa i complimenti al supermercato: basta che si avvicini un po' e le metta gli occhi negli occhi e lei ride, sgambetta, e fa lunghi discorsi.


Anna ama gridare, e questo lo sapevamo.


Anna ama addormentarsi sola nel suo lettino, di dormire in braccio non se ne parla, e in generale non è una grande amante delle posizioni a koala..e questo, fatemelo dire con un certo orgoglio, è cosa buona e giusta.


Anna ama i baci e le coccole...in particolare adora i baci sul collo e sui piedini. Fa un' espressione di pura beatitudine che mi fa venire voglia di consumarla di baci fino a mangiarmela.


Anna è stata qualche giorno al mare ed ha un musetto abbronzato che è una meraviglia.


Anna due domeniche fa è stata battezzata fra i suoi parenti e amici: una piccolissima festa, io e il PDMF non amiamo i grandi festeggiamenti per queste cose, ma lei era stupenda...no?


battesimo

Pur se in ritardo...

Ben arrivato OmettoPigro,
ti aspettavamo con ansia...
e bravissima Naike!

mercoledì 11 giugno 2008

Una favola per Anna

Anna è ancora piccina per le favole, ma io gliele racconto lo stesso: mentre la cambio, o quando passeggiamo in carrozzina, o in macchina.
Quando ho finito le varie Biancaneve, Cenerentola e Cappuccetto Rosso, dopo aver raschiato il fondo del barile con Pollicino e Hansel&Gretel, ho cominciato a inventarmele...i protagonisti sono i suoi giocattoli, i pupazzetti che dondolano sopra il suo letto, che tintinnano o suonano, quelli che osserva con attenzione prima di dormire.
Qua, la prima.


La Piccola Ape e i Girasoli


APE


La Piccola Ape nacque nell’Alveare del Prato dei Papaveri e quando imparò a volare bene diventò una Bottinatrice, cioè una delle api che hanno il compito di andare di fiore in fiore a raccogliere il nettare per produrre il miele.

La Piccola Ape volava tutto il giorno fra i mille bellissimi papaveri rossi del prato e la sera tornava alla sua cella dove la aspettavano le sue sorelle.

Un giorno di inizio estate si levò un vento furioso, il cielo si riempì di nuvoloni neri e cominciò a piovere a dirotto…piovve per tre giorni di fila, e quando finalmente le api poterono uscire dall’alveare si accorsero che tutti i papaveri del prato erano stati strappati e schiacciati dal temporale.
Non c’era più nettare per fare il miele: non avevano più niente da mangiare.

La Regina convocò allora le Bottinatrici più veloci e resistenti e ordinò loro di mettersi in volo alla ricerca di nuovi fiori per salvare l’alveare; anche la Piccola Ape partì, piena di energia e buona volontà.

Volò e volò per ore e ore fino al limitare del prato dove era nata, e oltre, superando il bosco ombroso e il ruscello d’argento, e continuò a volare senza darsi per vinta, nonostante la fame e la stanchezza.

Ad un tratto, superando alcuni cespugli spinosi e rinsecchiti dal gran caldo, si ritrovò ai margini di un campo vastissimo, sconfinato e….giallo come il sole.
La Piccola Ape si arrestò sbigottita quando si rese conto che il terreno era ricoperto di centinaia di grandi fiori.

L’iniziale sensazione di gioia e trionfo si spense in un brivido di paura: ma che razza di fiori erano mai quelli?
La Piccola Ape sapeva che i fiori sono piccoli, rossi, con tre delicati petali svolazzanti. Questi erano giganteschi, con grandi corolle scure e tantissimi petali di un giallo acceso.

Mentre esitava ronzando al bordo del campo, la Piccola Ape udì qualcuno che la chiamava con voce flebile: accanto a lei spuntò una vecchia coccinella dall’aspetto malaticcio, le ali sciupate, il colore spento, i movimenti lenti come se fosse molto vecchia o molto debole.
“Apina, mica starai per caso pensando di posarti su uno di quei mostri?” le domandò la coccinella indicando i fiori che ondeggiavano al vento.
“Ecco, io veramente mi chiedevo…” rispose esitante la Piccola Ape “vengo dal prato dei papaveri, ma i fiori sono morti e l’alveare è vuoto…devo trovare dei fiori…”
La coccinella la guardò con aria di superiorità “Anche io sono arrivata qua dal prato dei papaveri, molte settimane fa, ma non mi sono mai nemmeno avvicinata a quei…quei…cosi. Preferisco vivere del polline che ogni tanto il vento trasporta, anche se faccio la fame, ma sempre meglio che rischiare la vita su quegli strani fiori. Insomma, non vedi come sono grandi? E le corolle, con tutti quei petali che sembrano artigli? Sicuramente sono fatti a posta per inghiottire i poveri piccoli insetti come noi…e poi, sai che diavoleria? Questi cosi  si muovono seguendo il sole!! Non ci credi? Ti assicuro, li ho visti io! Pensa se si muovessero tutti insieme per inseguirti….”

La Piccola Ape ascoltava i discorsi della coccinella a bocca aperta, e man mano che questa andava avanti i grandi fiori gialli le sembravano ogni minuti più loschi e minacciosi, finché si convinse che davvero rappresentavano un pericolo per lei e le sue sorelle; basta, doveva abbandonare quel luogo inquietante e trovare un altro bel prato di papaveri rossi.

Ma al tramonto, dopo aver volato in lungo e in largo per ore e ore, la Piccola Ape dovette darsi per vinta e fare ritorno all’alveare senza le buone notizie tanto attese.
Là trovò riunite anche le altre Bottinatrici che come lei erano partite al mattino in esplorazione, tutte con la stessa espressione sfinita ed abbattuta.
Quando apparve la Regina per chiedere notizie , tutte scossero la testa sconsolate: non si vedeva una sola corolla per miglia e miglia.
Quando fu il suo turno, la Piccola Ape disse di non aver trovato niente, ma tenne gli occhi bassi e la sua voce tremò un poco, perché sapeva di mentire.

Il Primo Consigliere della Regina, un vecchio fuco ingrigito ma molto saggio, si accorse che la Piccola Ape si comportava in modo strano, e decise di scoprire perché.
Per non spaventarla, fece finta di passare per caso proprio sullo stelo d’erba sul quale essa era posata e iniziò a parlare del più e del meno, finché le disse “Certo che voi Api Bottinatrici siete le più forti e coraggiose dell’alveare, e noi tutti dipendiamo dal vostro lavoro…ma se qualcuna di voi avesse bisogno di aiuto, o di un consiglio, dovete sapere che io sono qui per questo”.
La Piccola Ape rispose timidamente “Ma, ecco, se una di noi avesse…diciamo…trovato qualcosa che potrebbe aiutarci…ma qualcosa di molto strano, e pericoloso…qualcosa mai visto prima…cosa le consiglieresti di fare?”. Il Primo Consigliere chiese “Cosa intendi di preciso, Piccola Ape?”
“Ecco, se qualcuna di noi avesse scoperto un campo nuovo, pieno di fiori, ma così bizzarri e diversi dai nostri papaveri, forse pericolosi e terribili…insomma, cosa dovrebbe fare?”.
Il Primo Consigliere ormai aveva capito benissimo che la Piccola Ape parlava per sé, ma continuò a far finta di niente: “Come fa quest’Ape di cui parli a sapere che sono fiori pericolosi? E’ forse stata attaccata da uno di loro? Ha assaggiato il loro nettare e scoperto che è velenoso?”.
La Piccola Ape scosse la testa “Ecco, sembrano così strani!…
Il Primo Consigliere meditò in silenzio, e poi disse “Non credo che una cosa del genere possa accadere, Piccola Ape…le Bottinatrici del nostro alveare sono altruiste e coraggiose. Sono certo che se una di esse dovesse ritrovarsi nella situazione che mi hai raccontato, non esiterebbe a provare uno di quegli strani fiori, prima di decidere che sono pericolosi. Sai, non tutto quello che è diverso è strano o sbagliato o rischioso. Anzi.” poi le strizzò l’occhio e volò via.

La Piccola Ape continuò a pensare alle parole del Primo Consigliere per tutta la notte e alla fine dovette ammettere che erano giuste…insomma, lei non si era nemmeno avvicinata a quei fiori! Come poteva sapere che erano davvero pericolosi? Solo fidandosi dell’apparenza e delle parole della vecchia coccinella?
Doveva tornare al campo e risolvere a questione una volta per tutte. Ma la paura era ancora tanta!!

Il giorno seguente la Piccola Ape fece un giro dell’alveare e quello che vide la rattristò molto: la mancanza di nettare si faceva sentire, le api appena nate piangevano per la fame, e si sussurrava che anche la Regina stava diventando sempre più debole perché la pappa reale scarseggiava.

La Piccola Ape capì che era lei l’unica che poteva fare qualcosa per le sue sorelle, e partì in direzione del campo giallo; volò e volò e dopo molte ore si ritrovò vicino ai cespugli spinosi al limitare del campo.
I grandi fiori gialli erano ancor lì, spalancati sotto il sole.
C’era anche la vecchia coccinella, che ricominciò a raccontarle storie terribili e spaventose, ma la Piccola Ape non volle ascoltarla; si concentrò, prese un lungo respiro, chiuse gli occhi e si levò in volo sul campo, gettandosi a capofitto dentro una delle corolle gialle…PUF!!!

Quando riaprì gli occhi si accorse di essere completamente ricoperta di nettare.
Lo assaggiò: era dolce proprio come quello dei papaveri, anzi di più. E ce n’era così tanto!
La corolla del fiore era spaziosa e confortevole, invogliava quasi a schiacciare un pisolino….e quanto era piacevole quel lieve dondolio dello stelo al dolce vento estivo!

La Piccola Ape rimase per diverso tempo sul grande fiore, per poi spostarsi su un altro e un altro ancora, per accertarsi che non ci fossero pericoli e che tutto quel ben di Dio fosse vero.
Non successe proprio niente di male, anzi, incontrò grilli, moscerini e farfalle che giocavano, mangiavano e dormivano tranquillamente fra i petali gialli: non riusciva a credere di aver avuto paura di quella meraviglia.

Ormai stava calando la sera, ma la Piccola Ape decise di non aspettare il mattino per tornare all’alveare: aveva troppa fretta i raccontare a tutti la sua scoperta.
Si rimise in volo che il sole già calava,superò in fretta i margini del campo, dove vide la vecchia coccinella che la guardava storto a naso in su, e volò, volò tutta la notte, senza sentire il freddo e la stanchezza.
Arrivò all’alveare che era l’alba ed atterrò sfinita in mezzo alle sue compagne riunite davanti alla Regina. Tutte la fissarono a bocca aperta….ma era piena di nettare! Le ali, le zampe, perfino il piccolo pungiglione!!

La notizia che la Piccola Ape aveva trovato i fiori fece presto il giro dell’alveare e quando si riprese si accorse di essere circondata da tutte le sue sorelle che chiedevano, gridavano, volevano sapere…la Piccola Ape avrebbe voluto raccontare loro tutto quello che era successo, ma non c’era tempo, bisognava portarle tutte al campo giallo.
Siccome la Piccola Ape era troppo stanca, alcuni fuchi forzuti la caricarono su una foglia che trasportarono in volo: dietro a quel buffo cocchio volava tutto l’alveare, seguendo le indicazioni della Piccola Ape.

Quando arrivarono al limitare del campo le grida di gioia cessarono, e tutte le api si fermarono impietrite dallo stupore e dalla paura.
Qualcuna cominciò a gridare “ma dove ci hai portato? Cosa sono questi cosi? Vuoi ucciderci tutte??”
La Piccola Ape prese fiato e rispose “Sorelline, non lasciatevi impressionare dalla forma e dai colori strani di questi fiori….non abbiate paura! Non tutto quello che è diverso è strano o sbagliato o rischioso. Anzi!”.
Lo sciame esitava, incerto, e la Piccola Ape già temeva che non le avrebbero creduto e se ne sarebbero tornati a casa a morire di fame, quando scorse qualcosa che si muoveva…una vecchia ape un po’ ingrigita si era levata in volo, ed ecco, si tuffava a capofitto dentro uno dei fiori gialli!

Era il Primo Consigliere, che dimostrava alla Piccola Ape che si fidava di lei.

Riemerse dalla corolla tutto pieno di nettare e con un gran sorriso.

Dopo di lui, la Regina in persona si levò in volo sopra i grandi fiori, e dietro di lei, tutto lo sciame.

Fu una giornata memorabile: ci furono grandi festeggiamenti in onore della Piccola Ape che aveva vinto la paura e salvato l’alveare del Prato dei Papaveri. Anzi, del Campo de Girasoli.

martedì 3 giugno 2008

Piccole pescivendole crescono

Fino alla settimana scorsa la Principessa deliziava i suoi umili sudditi con dolci vocalizzi e timidi gorgheggi...che tenera, sembrava un gattino che imparava a miagolare.


Bene, da qualche giorno deve aver scoperto che più aria = più voce = più volume  e conseguentemente più considerazione per lei.
Grida come una pescivendola.


All'inizio pensavo che fosse espressione di reale scazzo, invece mi sono accorta che lo fa anche quando gioca, o quando canta insieme a me (ebbene sì, cantiamo: immagino la gioia dei nostri vicini che alle 7 del mattino sono svegliati dai nostri delicati acuti...).


Mille progressi, da perderci la testa: riesce a infilarsi in bocca quasi l'intera manina, resta fuori solo il mignolino che si sforza di spingere dentro (fortunatamente senza esito). Dopo le prime volte che cercavo di lavarle le mani ogni volta che cercava di mangiarsele, ho rinunciato...ma quanto sporco accumulano quelle manine cicciotte?
La becco spesso a rimirarle un po' perplessa: oltre al ruolo di sostitute del ciuccio, di artigli per aggrapparsi ai miei capelli e di badili per tirare grandi pugni alle mie tette e al suo pupazzo preferito, ancora non ha ben capito come usarle.


Intanto ha fatto le ore piccole per la prima volta, al matrimonio di un paio di amici, e si è comportata bene: io penso che sia stata una gentile concessione di sua Maestà allo stuolo di adoratori che si accalcavano intorno alla carrozzina per sbirciarle le cosce sotto l'elegantissimo vestito da cerimonia che portava.
Con una vezzosa molletta nei (tre) capelli.
Purtroppo non l'ho fotografata, accidenti a me.


Bella come il sole, mi fai morir da ridere Nana.